Come uno scrittore che nessuno conosce si paga le bollette: possibili scenari
Ho scritto questo piccolo racconto con incipit di Thomas.
Lo scrittore
“Quando inizierai da una mia frase per uno dei tuoi racconti?” – chiese Francesca un po’ stizzita.
Giuseppe non sapeva più che fare. Come scrittore, era un mezzo fallito. Un paio di case editrici minori, qualche piccolo premio, dei premietti, ma niente più. Il tempo avanzava, spietato ed incurante del suo dramma.
“E poi noi non dovevamo avere un figlio?”
Una rovina. Una slavina che precipitava giù, verso il villaggio dei suoi sogni di ragazzo. Sembrava una di quelle vecchie Cadillac della Cuba che fu. Quelle macchine americane figlie dell’embargo che andavano avanti da centinaia e centinaia di migliaia di chilometri. Tenute insieme con il fil di ferro, viti aggiuntive, bulloni, speranza e disperazione. Questa esattamente era la sua vita. Una cadillac cubana. Quelle però sono belle.
“Io vorrei tanto sapere come pensi di crescere nostro figlio, se mai ci sarà. Con quali soldi. No, dimmelo.”
Giuseppe spinse indietro la sedia, allontanandosi dalla scrivania. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia, fissò il pavimento. Stette in silenzio alcune decine di secondi. Poi si alzo di scatto.
Con movenze veloci e decise si mise il giubbotto, ed aprì la porta.
“Torno subito”, e la sbatté. Era in strada. Tregua, libertà.
Non sapeva più che cazzo dire. Ma proprio a nessuno, non sapeva più che balla raccontare. La Cadillac con un milione di chilometri. Un milione di chilometri sotto le scarpe, quanta strada ancora davanti?
E quella dietro, che senso aveva? E questa voce che da quando era piccolo continuava a bisbigliare “…e dimmi Giuse’, tutto il resto che senso ha?”.
Soldi e fama. Magari poi non sei felice, ma ti senti meglio a vedere tutto quelli che non ce l’hanno fatta. Sei il ratto in cima alla piramide di ratti che cercano di salvarsi dall’acqua che sale. Lo sai benissimo che quell’acqua salirà anche per te, e ti ricoprirà pure, ma con cosa puoi barattare la soddisfazione di essere l’ultimo ratto ad affogare?
Con niente, Giuse’.
Questo gli diceva la voce.
Però bisognava fare qualcosa. Trovare una via di uscita da un lavoro faticoso e poco remunerativo, da una relazione scalcinata. Doveva farsi venire un’idea e rivoluzionare la sua vita.
Gli venne in mente l’ultimo libro che aveva scritto. Quello dove c’era il municipio che prendeva fuoco. Ecco, magari poteva dare fuoco al municipio. Si sarebbe avverato quello che lui aveva scritto e sarebbe diventato famoso.
No, non funziona così. Almeno credeva. Stava camminando da mezz’ora, senza una meta precisa. Aveva fame, era ora di cenare.
Decise di tornare a casa.
Aprì la porta.
“Ciao. Dove sei stato?”
“Dovevo sbrigare delle commissioni. Prepari tu qualcosa?”
“Sarebbe il caso che per una volta facessi qualcosa tu, invece”
Si mise ai fornelli, con scarsissima voglia. Decise di fare la pasta in bianco. Lei gli avrebbe sicuramente detto che era diventato uno chef di prim’ordine ed aveva fatto bene a mettersi con lui, ma chi cazzo se ne frega, alla fine lo aveva scelto lei, lo sapeva come era, mica era colpa sua se non gli piaceva cucinare, anzi gli faceva schifo, schifo!
Battè un pugno sul piano della cucina. Lei si voltò “Ma che fai!?”.
Continuò a fissare davanti a sé con la mascella serrata. Lei tornò a guardare il giornale degli sconti del supermercato.
Si sentì un altro colpo.
“Ma la fai finita!!?”
“Io non ho fatto niente. Il colpo è arrivato dal pavimento.”
Era il vecchiaccio di merda del piano di sotto. Quel vecchio sporco rincoglionito borghese ritardato. Ma questa volta aveva rotto i coglioni. Aveva proprio rotto le palle. “Adesso vado giù e lo gonfio di cazzotti” – disse Giuseppe.
“Ma stai fermo, ma cosa vai giù che a te ti mena pure un vecchio!”
Ma Giuseppe questa volta era deciso a farsi giustizia ed a far pagare al vecchio anni di rotture di coglioni. Probabilmente aveva sentito il suo pugno sul bancone e si era messo a battere con la scopa. Il vecchio di merda. Il vecchio borghese di merda.
Giuseppe scese giù e trovò la porta socchiusa. Spalancò la porta rimanendo fermo sulla soglia. Vide il vecchio che penzolava dal lampadario, corda al collo. Sotto, il tavolo. Il tavolo di cucina, pieno di banconote. Sopra, insieme a delle feci, campeggiava la scritta “E prendetevela ‘st’eredità, merde!”. Probabilmente sperava che lo avrebbero trovato i figli. Giuseppe frugò in cucina stando attento a toccare tutto solo con le maniche della maglia, e non con le mani.
Alla fine trovò un sacchetto, cominciò a metterci dentro i soldi non sporchi. Erano un sacco di soldi, con tante banconote da cinquecento.
Ripulì la maniglia della porta e tutte le superfici che aveva toccato, ed uscì.
Mise i soldi in macchina.
Tornò in casa.
“L’hai menato il vecchio, eh Rocky?”
“Francesca, non ti ho detto una cosa.”
“Cosa?”
“Il mio ultimo libro ha avuto successo”