[elaborazione grafica di Annibale Di Lorenzo]
Il giorno dopo la nuvola si era molto allungata in cielo, ed aveva assunto la forma di una grossa pietra piatta, molto larga. Il terzo giorno il cielo si era tinto di un colore grigio, non ben definito, che Toki non aveva mai visto. Aveva cominciato a piovere della cenere, piano, come neve rada da principio, poi sempre più velocemente. Toki non si sapeva spiegare il perché, ma adesso il sole pareva molto meno intenso, e sentiva freddo. Era comunque andato a caccia quel giorno, ma non c’erano molti animali in giro. Probabilmente si erano tutti rintanati. Era però facile seguire le tracce su quel tappeto che ricopriva il suolo. Pure gli alberi erano tinti da uno strato grigio. In passato aveva visto la neve, ma non era come quello che stava vedendo adesso.
Carmine era tornato ed ero potuto andare un po’ avanti col libro. La sua fuga d’amore non era finita bene. Come avevo scoperto, e come sospettavo, aveva lasciato intendere a lei che aveva dei soldi da parte. Quando lei si era accorta che i soldi erano circa cinquecento euro, l’aveva mollato quasi immediatamente. Ed ecco che Carmine adesso era qui, con me, e stavamo andando ad una serata. Lui era curioso, perché era organizzata dal Kink, un locale di Bologna che organizzava party per scambisti, gente perennemente arrapata ma anche pervertiti di vario genere. Insomma, non saprei come chiamarli quei tipi. Per esempio c’era uno che era famoso come ‘uomo zerbino’; si vestiva con incollato addosso uno zerbino e si faceva calpestare dalle tipe. Poi c’era un po’ di circo assortito: ragazze vestite solo di nastro adesivo, catene, trans, eccetera.
Perché ci andavo?
Quando ero giovane per andare a quelle serate mi facevo un centinaio di chilometri. Non me ne è mai fregato molto, ma tutti i miei amici ci andavano e sennò non sapevo che fare. E poi sono sempre stato uno che le cose le ha volute provare prima di dire che non mi piacciono. Quella serata in particolare era vicinissima, praticamente sotto casa. Per tutta una serie di eventi fortuiti la facevano a sette chilometri da dove vivevo io, quindi la presenza era quasi obbligatoria. Anche perché non c’erano molte alternative quella notte, quindi avevo deciso di andare a vedere di nuovo la messinscena.
Ero riuscito, non senza sforzo, a far vestire Carmine decentemente. Io avevo un giubbotto di pelle col colletto alla coreana, dei pantaloni neri di cotone non troppo attillati ed un camicia grigio scuro. Carmine aveva degli stivaletti di pelle che portava tutti i giorni, dei pantaloni neri che gli avevo visto un sacco di volte e una felpa. Ripensandoci non era vestito un granché bene, ma perlomeno era pulito.
Arrivammo abbastanza velocemente alla location. Era una villa ottocentesca di campagna, con un ampio giardino. Parcheggiammo l’auto al di fuori del parcheggio, in una vigna. Era piovuto da poco e quel parcheggio fangoso, ricavato in una grossa concavità sulla collina, non mi convinceva molto.
Facemmo la fila. Avevano messo un piccolo banco all’ingresso del giardino. Fecero qualche commento sull’abbigliamento di Carmine, ed ebbi paura che non ci avrebbero fatto entrare. Per fortuna ce la cavammo grazie ad un paio di battute in toscano che feci sul fatto che ci eravamo vestiti in fretta. Per qualche ragione alla gente del nord l’accento toscano fa ridere. Dai vecchi tempi la selezione all’ingresso era calata molto, altrimenti non ci avrebbero fatto partecipare alla serata.
Ce la facemmo a superare quell’ostacolo; ci trovammo in un grande giardino, a camminare su un breve sentiero lastricato. C’erano grossi orci tutto intorno, orci pieni di piante che in quel periodo dell’anno non erano in fiore. Un’alta siepe attorniava il complesso, che era rischiarato da dei lucernari a lanterna posti in cima a lunghi pali neri. Una grande costruzione torreggiava al centro del giardino: la villa, che aveva due ampie scalinate che salivano da lati opposti e si congiungevano al primo piano, dove c’era l’ingresso. Pensai che quello un tempo doveva essere l’ingresso principale della residenza signorile. La servitù probabilmente abitava il piano terra.
Salimmo le scale, ed arrivammo in una specie di ingresso o piccolo terrazzo dove le scale si congiungevano. Era pieno di gente vestita di nero. Erano vestiti in maniera simile al pubblico delle serate goth, in quanto il genere di serata organizzata da quella specifica associazione attingeva dalla fauna di quella subcultura. Negli anni, come era successo un po’ a tutto quel mondo, il pubblico si era ‘imbastardito’ e quindi c’erano anche persone non dell’ambiente che, un po’ attratte dalla curiosità ed un po’ dalla promessa di sesso facile, erano sopraggiunte come mosche intorno allo stesso pezzo di carne. Adesso c’era un po’ di tutto su quel terrazzo: vecchi goth con catene e capelli bianchi dovuti dall’età, giovani goth che si baciavano e si toccavano, gente normale che beveva e si guardava intorno ridendo, e noi. Mi sentivo un po’ un pesce fuor d’acqua, ma qualcosa mi diceva che se non fossi andato lì mi sarei pentito di stare a casa a guardare processi contro terroristi anni settanta tutta la sera.
Varcammo l’ingresso, che era composto da un grosso portone montato su pesanti cardini di ferro battuto, e ci trovammo nella sala principale.
Non era sfarzosa… probabilmente erano molti anni che nessuno ci abitava più, e la affittavano solo per grandi eventi. Non c’erano molti mobili. C’era però una gabbia nera nel mezzo, in mezzo alla folla. Dentro la gabbia c’era un ballerino che dimenava il sedere con grande energia. Sulla sinistra c’era il bar, allestito probabilmente quel giorno, che serviva alcolici sovraprezzati. Mi fermai lo stesso a prendere un gin tonic, mentre Carmine prese una Becks (perché non avevano la Tennets).
C’era una musica tecno non particolarmente ricercata. Incontrai una mia cara amica, molto avvezza a quei posti (e non ho mai capito perché, in quanto lei era scarsamente promiscua). Ci salutammo calorosamente. Decidemmo di andare a fare un giro nelle altre sale. Varcammo la porta sulla destra ed entrammo in una specie di sala da pranzo, con un grosso tavolo in legno massello ed un divano.
Sul divano c’era una ragazza, che riconobbi. Non era molto alta, faccia tonda, da ragazzina, naso a patata e capelli neri. Si stava facendo leccare i piedi da un uomo di quarant’anni. Carmine mi chiese:
«Ma se volessi anche io leccare i piedi di una ragazza, come dovrei fare?»
«Guarda Carmine, laggiù c’è una lista di moduli, ne prendi uno, lo compili, lo dai alla ragazza e ti metti in fila»
«Ah, si?»
«No.»
Eravamo appoggiati al muro (non che ci fosse molto spazio dove stare) e ci stavamo guardando intorno. Vidi una ragazza, altezza media, bel sedere, anfibi, calze a rete, body ed una maglietta con dietro un pentacolo col capro. Aveva i capelli biondicci, probabilmente tinti, agghindati in due crocchie. Accanto a lei c’era un ragazzo, un bel ragazzo, completamente vestito di nero, anfibi anche lui, viso bianchissimo, capelli rapati, espressione torva. Vidi lei che doveva passare tra il tavolo ed un gruppo di persone, e ci passava a malapena, e vidi lui darle una spintarella in quel preciso istante. La ragazza rischiò di cadere. La ragazza notò che la guardavo, i nostri sguardi si incrociarono. Rimanemmo un altro minuto ad osservare la fauna, e vidi la ragazza passare di nuovo, fermarsi davanti a me e chiedermi
«Ce l’hai una sigaretta?»
«No, mi dispiace» le dissi. Vidi un’espressione di disgusto, probabilmente artefatta. Notai che il ragazzo aveva un pentacolo al collo.
La ragazza si allontanò guardandomi con disprezzo.
Con la mia amica ci incamminammo, e scendemmo giù. C’era una stretta scala a chiocciola, di pietra. Con lei c’era anche un altro nostro amico. Il soffitto era basso, ma la zona era ben illuminata. Probabilmente un tempo era stata una cantina…. c’era un corridoio, stretto, con delle corde che pendevano dal soffitto. La gente si infilava volontariamente in quelle corde, i corpi si avvinghiavano. C’era della musica elettronica un po’ più raffinata, più aggressiva. Vidi di nuovo i tipi di prima, con la ragazza col pentacolo. Adesso erano tre, erano appoggiati al muro. Uno dei tre aveva una maglia aperta sul davanti, ed era incappucciato. Anche lui aveva un pentacolo al collo. Credo fossero satanisti sul serio, non credo facessero solo scena.
Il ragazzo che era con noi disse che era claustrofobico e quel posto gli dava noia, e se ne andò. La mia amica cominciò ad indicare la gente abbarbicata intorno alle corde ed a prenderli in giro. Faceva sempre così, lei si divertiva in quel modo.
Guardai per un po’ un tipo che conoscevo che si contorceva sulle corde, poi mi stancai. Presi Carmine e tornai su.
«Dove andiamo?»
«A bere»
«Non è il bere.»
«Cosa?»
«È il ribere. Ahahah»
«Carmine, ma che stai dicendo?»
Rifacemmo la fila, altro Gin Tonic sovrapprezzato, altra birretta in bottiglia per Carmine. Mi toccò offrirgliela perché aveva già finito i soldi. Ma che la satanista prima volesse qualcosa? Avevo visto che mi guardava. No, basta casini.
Passammo davanti una stanza con una tenda nera. Quella era la dark room, lì la gente faceva sesso. Potevi entrare solo se affiancato da un partner. Una volta avevo provato ad entrarci con Andrea, ma il buttafuori aveva capito che non eravamo una coppia, ma solo curiosi, e ci aveva fatto fare retrofront.
Salimmo un’altra scala, questa volta normale, molto ampia, che ci portò al piano superiore. Quando arrivammo, entrammo in un’ampia stanza. Per terra, a quattro zampe, c’era uno slave, vestito quasi interamente di pelle, con delle mutande di pelle e delle scarpe col tacco, il quale indossava una maschera con una cerniera sulla bocca, che veniva preso a schiaffi da una mistress. La maggior parte della folla fissava la scena in silenzio, alcuni toccandosi compulsivamente le tempie. A me faceva ridere, non so perché. Mi faceva proprio scompisciare. Tenevo una mano sulla bocca, volevo scoppiare a ridere. Probabilmente se lo slave mi avesse visto la cosa gli avrebbe fatto pure piacere, il che mi faceva trovare tutto quanto ancora più divertente. Qualcuno mi guardava male. Stavo dando gomitate a Carmine per sottolineare la risibilità della scena. La mistress accese una candela, la fece vedere alla folla, e poi la infilò nel sedere allo slave. Mi tolsi la mano dalla bocca e mi misi a sghignazzare sonoramente. Ero quasi piegato in due. Non ci potevo fare niente, lo trovavo troppo divertente. Mi voltai dietro, vidi un buttafuori che mi guardava. Indicai lo slave ed esclamai al buttafuori «ma lo vedi!?». Il buttafuori sorrise. Alla fine lo spettacolo terminò, ci furono degli applausi, ai quali partecipai pure io. Carmine aveva proprio l’espressione di uno che non capiva, e batté poche volte e lentamente le mani.
«Ok, mi ritengo soddisfatto. Andiamo?»
«Aspetta.»
Carmine volle rimanere e bere ancora. Aveva trovato un altro che conosceva e si stava facendo offrire le birrette pure da lui. Vidi che cominciava a barcollare. A questo punto mi ruppi definitivamente le palle e lo presi per la collottola, portandolo fuori.
«Ma perché!?»
«Perché sono le due, Carmine, e non ne ho più voglia»
«Ok…»
Uscimmo dall’edificio, poi dal giardino. Arrivammo davanti al parcheggio. Era un po’ piovuto nel frattempo, e si era sviluppata una fanga notevole, nella quale le auto stavano affondando. Le varie auto si susseguivano nel tentativo di uscire di lì, prendendo la rincorsa sul breve piazzale, arrancando sulla salita, ed infine scivolando miseramente di nuovo al punto di partenza.
Vidi un ragazzo che conoscevo salire sul suo corpulento suv, e dire a tutti:
«Adesso spostatevi, che scarico a terra centoquaranta cavalli»
Quando vuoi uscire dal fango con un fuoristrada, per quel poco che avevo imparato quando da giovane guidavo nei campi nell’azienda di famiglia, devi andare MOLTO MOLTO piano cercando di non far slittare le gomme, provando in tutti i modi a fare grip da qualche parte. Il nostro amico si posizionò il suo muscoloso suv dinnanzi alla salita, e poi cominciò a sgassare come un pazzo, e mentre la macchina slittava da un lato all’altro della carreggiata, pezzi di fango e sassi volavano sulle auto retrostanti. Mi stancai di quello spettacolo e mi diressi verso la mia vettura. Carmine andò un attimo in bagno.
Accanto la mia macchina ce n’era un’altra fuori c’era una bella donna, ben vestita, che stava fumando. Mi vide.
«Che stai facendo?»
«Vado alla macchina…»
«Io sto aspettando i miei amici»
«Ah, ok»
«Mi fai un massaggio ai piedi?»
Senza dirlo due volte tirò fuori dalla scarpa, avvolto da delle calze a rete, un bel piede femminile. Non mi feci molti problemi e cominciai a massaggiarlo. Parlammo un po’. Dopo pochi minuti lei vide arrivare Carmine, che probabilmente si era perso, e rimise il piede nella scarpa. Tirò fuori dalla borsa una penna ed un quadernino, scrisse qualcosa e me lo dette. Era un numero. Poi lei entrò nella sua macchina.
«Ci hai messo un bel po’, Carmine»
Notai che aveva qualcosa alla bocca, probabilmente aveva vomitato.
Salimmo e sobbalzammo per quella viuzza tra i campi e poi finalmente tornammo sulla strada asfaltata, tra la civiltà.