Incipit del nuovo romanzo, titolo provvisorio “Saligia”


Sto scrivendo un nuovo romanzo. Sarà molto diverso dal precedente. Parlerà di una persona che attraversa tutti i vizi capitali. Il titolo provvisorio dell’opera è “Saligia”. La allego qui, in anteprima. I pareri sono molto graditi


Sono affascinanti i treni. Trasportano storie.

Il treno da Firenze era in ritardo di cinque minuti. Era scritto sul display del binario lassù in cima. Sotto, una cernita di variopinta umanità lo aspettava, per andare a Pisa o comunque in direzione del mare.

Sono pieni di gente, gente che guarda fuori, guarda il cellulare, dorme, parla. Ognuno ha una storia diversa. Ognuno proviene da un posto diverso, a volte un continente diverso, con un passato diverso.

Mi è sempre piaciuto guardare i treni. La prima volta che uscivo con una ragazza la portavo sempre alla stazione. Credo più che altro per testarla. Se riusciva a reggere questo, poteva andare bene.

Una cosa che mi piace molto fare è guardare dentro al treno le facce della gente. È voyeurismo. Amo quando qualcuno guarda fuori, e per un attimo i nostri sguardi si incrociano. Perché poi il treno porta tutto via, e non ci sono legami, tutto si dissolve. Un rapporto occasionale.

Mi piace il rumore del treno, in particolare quando ci sei sopra. Il rumore dei vecchi treni. Quel rumore forte, ritmico. Mi fa addormentare. A volte mi sono messo a suonare il piccolo tavolino davanti ai sedili. L’ho fatto quando non c’era nessuno. Una volta sono sceso dal vagone ed ho visto una che era seduta due posti dietro di me. Ho provato imbarazzo. Lei però non aveva detto niente, quindi credo le andasse bene.

Aspettavo Elisa, lì seduto sulla panchina della stazione. Elisa era un’illustratrice, lavorava a Firenze. Le piaceva il suo lavoro. La pagavano poco e la facevano lavorare tanto, ma a lei piaceva. Prima di quello aveva fatto un sacco di lavori schifosi. Centralinista. Chiamate in uscita al call center. Responsabile di una sala slot. Parlava spesso della sala slot. Doveva essere davvero un posto da schifo.

Ci vedo un piccolo suicidio in una sala slot. Come un desiderio di ammazzarsi un gettone per volta. Voglia di morire.

Ogni notte

È una piccola morte

In questo letto deserto,

Nei miei pensieri d’incubo.

Io scrivo. In realtà non faccio questo di lavoro. Non so nemmeno se lo vorrei fare di lavoro. È che è un problema, come incomincio    parlarne non smetto più. Con chi mi sta a sentire, ovvio. Altrimenti ho un sacco di argomenti. La pesca sportiva dalla spiaggia. Il Nascar. Il Basket. I crateri da impatto.

Insomma, so intrattenere una conversazione. Solo che, soprattutto quando sono un po’ brillo, comincio a parlare di letteratura con la povera vittima di turno, e non la finisco più. Se sono veramente brillo mi metto a recitare versi. Non ci posso fare niente, è più forte di me. È un problema, me ne rendo conto.

Il treno di Elisa si era fermato lentamente. Il vagone si stava arrestando, la porta stava fermandosi davanti a me. La linea della porta si fermò proprio tra le mie gambe, tagliandomi a metà.

Cominciò a scendere un sacco di gente, poi lei.

«e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’i’ non averei creduto
che morte tanta n’avesse disfatta.»

Mi sorrise. Era così bello il suo sorriso, sempre così sincero. Il mio spesso era una smorfia sbilenca.

«Ciaooo!»

Aveva un entusiasmo travolgente, che nemmeno la mia negatività riusciva a scalfire. Sorrisi, abbassai la testa, le misi un braccio sulle spalle.

«Com’è andata oggi?»


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