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C’erano giorni che ero più di buon umore e riuscivo a non pensare a queste cose.
Era maggio, a breve ci sarebbe stata una festa in piscina. Era tanto che ce lo dicevano, io e Andrea avevamo preso la prevendita. La organizzavano delle nostre amiche, gente oggettivamente abbastanza abituata a far baldoria. Sarebbe stato un peccato non andarci, tanto che avremmo fatto altrimenti?
Cominciavano a mancarmi le camminate nei boschi. I grandi boschi di castagni sulle alte colline vicino la casa della mia infanzia. C’era da salire per qualche chilometro, attraverso oliveti dislocati in pendenza, in posti dove la maggior parte dei trattori non poteva lavorare, a volte dove solo uomini, perlopiù vecchi o di mezza età, potavano rami con lentezza, o tiravano teli per la raccolta. Per arrivare bisognava lasciarsi alle spalle le colline basse del Chianti, e inerpicarsi su, fino al frantoio, e dopo ancora più su, lungo la strada circondata da muretti a secco, larga appena quanto bastava per due carri, e dove due macchine passavano molto a fatica. Salendo per i tornanti, le vigne piano piano sparivano, la pendenza aumentava, e comparivano una quantità di oliveti, spesso disposti in terrazzamenti, mentre la strada continuava a salire nei suoi stretti tornanti. Infine, una volta arrivati alla cosiddetta Casa di Leonardo, lì c’erano gli ultimi olivi, e poi quei contadini di alta collina avevano desistito dal piantare alberi produttivi, perché sarebbero seccati a causa del gelo nei mesi più freddi, ed i boschi quindi prendevano il sopravvento. Per ettari non c’era altro che boschi e rovi, alti boschi di castagni, che di inverno ricoprivano il terreno con i loro frutti spinosi. Da piccolo mi avevano insegnato ad aprire le castagne con le scarpe, pestando il lato destro e il sinistro, e togliendo la castagna con le mani, così da non pungersi. Quello volevo.
Boschi, e nulla più.