Racconto “La Noia” – Luca Gini


Una sorta di esperimento letterario. Per non fare spoilers, spiegherò in fondo qual’era l’oggetto dell’esperimento.

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illustrazione ispirata al racconto realizzata da  Annibale di Lorenzo,  http://www.dsidea2.net

La pietà che provavo per me stesso mi stava consumando. Ero in quella cella, quella specie di piccolo cortile all’aria aperta da ore. Mi avevano detto di aspettare lì. Non avevo più orologio, e neppure i lacci delle scarpe. Mi struggevo.
A sinistra, una pesante porta di metallo, senza maniglia, senza niente. Nemmeno quella piccola finestrella che si usa nelle celle. Niente di niente. Pure i cardini sembravano essere dall’altra parte.
Dietro di me, una parete grigia. Di un grigio uniforme, senza macchie di vernice, senza scorticature, senza macchie di umidità, senza niente di niente.
Alla mia destra, un’altra parete, alta come tutte le altre, circa cinque metri.

Non so per quale scopo fosse stato fatto quel piccolo cortile, che misurava si e no cinque metri per lato.
Era come essere dentro ad un cubo. Cinque metri di lunghezza, cinque metri di larghezza, cinque metri di altezza.
Sopra, il cielo. Un cielo blu, senza una nuvola. Uno spiraglio di cielo che non racchiudeva il sole, ne’ la luna che a volte si vede anche di giorno.
Ero lì da ore e non era successo niente. Non era passato nemmeno un aereo.
All’inizio ero angosciato dalla situazione, ma dopo un po’ di tempo avevo assunto quell’atteggiamento delle prede catturate ed inermi. Non facevo più niente, avevo anche smesso di disperarmi.
Sedevo con le spalle alla parete.
Non sapevo nemmeno dove rivolgere lo sguardo.
Non c’era niente.
Niente di niente.
Niente a parte grigio ed azzurro, in tinta unita.
Anche la porta aveva tonalità grigie, sembrava un tutt’uno con la parete.
Niente di niente a destra, niente di niente a sinistra, niente di niente di fronte a me.
Anche il pavimento sembrava un pezzo unico con le pareti, era di cemento, grigio anch’esso.
Un bel cemento levigato, liscio, piatto come un righello.
Non so come l’avessero fatto, ma mancavano anche quelle righine lasciate dalle tavole che a volte si vedono nelle pareti di cemento.
Era piatto e stop.
Quindi niente di niente. Niente a destra, niente a sinistra, niente sotto, niente sopra, niente.

All’inizio ero stato assalito dall’ansia.
Poi per una questione fisiologica l’ansia era sparita, e non c’era rimasto nulla.
Ero fermo ed inerte, facevo parte di quel buco pure io.
Tenevo lo sguardo fisso di fronte a me.
Dovevo concentrarmi per accorgermi che stavo respirando ancora.
Mi misi a contare i respiri.
Mi accorsi che facevo peggio che meglio, l’ansia rimontava.
Mi alzai in piedi, provai a battere sulla porta.
Nessuna risposta, e la porta faceva anche poco rumore. Poco più rumore di quello che avrebbe fatto il muro se lo avessi colpito.
Era disarmante. Mi sentivo come se stessi per impazzire.
Dovevo trovare qualcosa a cui pensare o mi sarei messo ad urlare a squarciagola e magari avrei peggiorato le cose.
Magari era il posto dove ci fucilavano la gente.
Magari l’avevano pulito e re-imbiancato da poco.
Forse era per quello che era così asettico.
Mi stancai e mi rigettai a sedere.
Respiravo.
Cominciai a respirare piano, molto piano.
Pensai anche di suicidarmi smettendo di respirare.
No, troppo stupido. Non ci si suicida così.
Avrei però potuto battere la testa contro il muro. Magari però non mi sarei ucciso, sarei solo svenuto.
Mi ricordai delle scarpe. Non avevo più nemmeno i lacci. Magari pensavano che mi sarei potuto impiccare legando i lacci al cielo, chissà.
Le scarpe erano vecchie e logore.
Pensai che mi sarei potuto prendere a colpi in testa con la suola delle scarpe.
Mi tolsi le scarpe.
Poi mi accorsi che era un’idea stupida.
Mi rimisi le scarpe.
Tornai a guardare il muro.
Tornai a respirare lentamente.
Perlomeno non avevo sete, non ancora.
Poi lo vidi.

Nascosto, grigio anch’esso, in un angolo della cella, mimetizzato con la parete ed il pavimento, c’era qualcosa.

Scattai in piedi.
Mi avvicinai.

Era un sasso.

Un sasso! Finalmente qualcosa! Un sasso, il mio nuovo compagno d’avventura!
Non era molto grande: era piccolo, levigato e grigio. Sopra ci scorreva una sottile venatura di un grigio più chiaro, impercettibilmente più chiaro. Forse addirittura tendeva al giallo! Una nota di colore! Anche a me avevano dato un vestito grigio, ma il sasso aveva del giallo! Il sasso era la cosa più divertente che c’era lì dentro, era fantastico.

Cercai di calmarmi e mi appoggiai di nuovo con le spalle alla parete. Con estrema delicatezza misi il sasso dinnanzi a me.
Ero a gambe divaricate, braccia penzoloni, con il sasso davanti.
Era un po’ appiattito sopra e sotto… doveva essere stato in un ruscello o sul mare una volta. Un sasso marino!
Chissà quante storie da raccontare avresti, sasso marino!
Ti chiamerò Marino, e sarai Il Sasso, il mio nuovo amico!
Sasso Marino, come va? Come sei arrivato qui? Chi ti ci ha portato? Ma siamo vicini al mare? Ci sono almeno dei corsi d’acqua qui vicino? Ci sono altri detenuti ? Forse ti ci ha portato un altro detenuto qui, eh ? Aspetta, non me lo dire … non voglio sapere dove ti aveva nascosto.

Ma aspetta… e se ti avesse lanciato un bambino? Un bambino che voleva capire cosa c’era dentro a queste pareti ?
Si, deve averti lanciato un bambino, od un altro detenuto, od una guardia che voleva prendersi gioco di un detenuto.

Si, si, si, deve essere così! Non c’è altra spiegazione. Sei stato lanciato da qualcuno qui dentro.

Beh… che dire …

E allora, che mi racconti, Sasso? Che c’è di nuovo da queste parti ?
Io mi sto’ logorando, sasso. E’ difficile.

-”Non so proprio cosa fare, sasso”. Mi accorsi che stavo pensando ad alta voce. Beh, che me ne fregava, tanto…
“Allora sasso? Te che mi racconti? Tutto bene? Tu quant’è che sei qui ?”

Il sasso mi fissava, immobile.

“Buon per te sasso che la prendi così con tanta filosofia. Io non ce la faccio più. Mi consumo. Pensa che prima volevo pure sbattere la testa nel muro. Eh, si. Già. L’avresti mai detto?

Ma per fortuna ho trovato te, il mio nuovo amico, Sasso Marino! Ti piace come nome? Sasso Marino, il mio amico sasso!
Chissà quali fantastiche avventure avresti da raccontarmi, sasso.
Chissà da dove sei arrivato, che strada hai fatto, chi ti ha portato qui. Sei taciturno, sasso. Sei uno di poche parole. Ma non è un problema. L’importante è stare in compagnia.”

Rimanemmo un po’ in silenzio.

Ricominciai a parlare.
-”Ti voglio raccontare una cosa buffa, Marino. Posso chiamarti Marino? Ok, allora siamo d’accordo.
Una volta ero all’università ed erano venuti dei turchi in scambio culturale.
Erano simpatici ‘sti turchi, ce n’era poi uno che mi stava anche più simpatico degli altri.
Non ricordo più come si chiamava, ma ricordo che ci andavo daccordo.
E insomma, una volta eravamo fuori, di notte, in un locale squallidissimo dentro un edificio bellissimo. Andammo in bagno.
Dentro c’erano i cessi alla turca, come diciamo noi.
Sicché mi venne spontaneo chiedergli: “Ma voi in Turchia avete i cessi così?”
Sai cosa mi rispose lui?
“Maybe in the octoman empire”
Aahaah!
Capito?

Magari al tempo degli ottomani!

L’esperimento consisteva nello scrivere qualcosa che riuscisse a catturare l’attenzione del lettore descrivendo solamente un uomo in una stanza vuota con un sasso.
Immagini di http://www.dsidea2.net


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1 commento su “Racconto “La Noia” – Luca Gini”

  1. Questo racconto sperimentale di Luca Gini mi è piaciuto subito. Scorre veloce e dà un senso di ritrovarsi alla metà di un romanzo, come se fosse un estrapolazione, un inizio che non vediamo ed una fine da immaginare.
    Ho avuto modo di realizzare l’ illustrazione dando l’ idea di un prima ed un dopo non visto, rimanendo vago con due volti cupi e spaventosi.
    Complimenti Luca, aspetto tuoi nuovi lavori ed in bocca a lupo *_^

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